Verso l’intelligenza emotiva ed oltre

Ho fatto un patto sai con le mie emozioni…le lascio vivere e loro non mi fanno fuori! (Vasco Rossi)

DAVOS/SWITZERLAND, 27JAN11 – Daniel Goleman, Co-Director, Consortium for Research on Emotional Intelligence in Organizations, Rutgers University, USA, speaks during the session ‘The New Reality of Consumer Power’ at the Annual Meeting 2011 of the World Economic Forum in Davos, Switzerland, January 27, 2011. Copyright by World Economic Forum swiss-image.ch/Photo by Michael Wuertenberg

Correva l’anno 1995 e Daniel Goleman pubblicava il suo libro “Intelligenza emotiva” ed il suo approccio ha avuto un successo enorme. Mi ricordo che lo lessi nel 1997 in italiano e ne rimasi colpito, lui scrive bene ed è chiaro e ci sono molti esempi. Era già qualche anno che gli psicologi trattavano il tema delle emozione con un interesse accademico e clinico e con una prospettiva nuova, Daniel Goleman ha trovato le parole giuste.

Come sempre che conta è trovare la domanda corretta: Pesano di più le conoscenze e il sapere o la gestione e il controllo delle emozioni per avere una vita di successo? Negli anni ‘90 si diceva: Vale di più avere un Q.I. (quoziente intellettivo) alto o un Q.E. (quoziente emotivo) alto?

Sembra che prevalga la capacità di riconoscere e controllare le nostre emozioni, saperle esprimere e comunicare, e quindi avere un buon comportamento. Il Q.E. favorisce la crescita personale e il successo sociale. E visto che, come dicono i maestri, la comunicazione e il comportamento sono due facce della stessa medaglia, un buon comportamento favorisce una buona comunicazione.

Teniamo conto del periodo in cui questo concetti sono stati espressi e del fatto che sono una emanazione della cultura americana, funzionale anche alla visione occidentale in generale.

Ci sono paesi con culture diverse dalla nostra, come molti stati islamici o orientali, dove l’autoritarismo è considerato indispensabile nel comportamento di chi comanda.

Da noi per esempio l’essere autorevoli, cioè essere competenti e con esperienza dimostrata in un argomento, può essere un buon criterio di scelta per un insegnante. Ma l’intelligenza emotiva sta li a dirci che ci sono motivi di successo nella comunicazione dei grandi carismatici che riguardano la loro capacità di rappresentare le emozioni più che le storie in sé.

Questa qui sotto è la mappa della prima formulazione delle dimensioni dell’intelligenza emotiva:

Daniel Goleman sostiene che ci sono delle competenze personali e delle competenze sociali.

L’aspetto ancora più interessante è che Daniel Goleman si concentra su quello che dipende da noi, sull’output delle nostre azioni, conseguenza di come riconosciamo e controlliamo le nostre emozioni. Pensate a quante volte vi siete pentiti per non aver taciuto.

Si aprono scenari interessanti, ad esempio una persona con una grande fiducia in se stessa potrebbe avere un basso autocontrollo, quindi una minima analisi di noi stessi può darci delle indicazioni su cosa migliorare.

Vedi Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Intelligenza_emotiva

Ci sono ovviamente punti di vista diversi su cosa sia il carisma, e in programmazione neuro linguistica nei libri di Robert Dilts, qualche anno prima di Goleman, lo studio dei comportamenti dei grandi carismatici ha portato a trovare degli elementi linguistici comuni e trasversali, Da Gesù Cristo ad Adolf Hitler, identificando modelli di comunicazione.

È doveroso notare, come diceva Karl Popper, che la psicologia non è una scienza. e molte cose sono cambiate.

Ad esempio, se consideriamo la parte di input, cioè le emozioni che proviamo quando gli altri comunicano con noi, scopriamo che quando impariamo qualcosa memorizziamo le nozioni e insieme le emozioni che stavamo provando in quel momento, perché pare che la memoria nasca proprio dalla reazione emotiva, che il nostro cervello rettile produce. Poi si consolida nel tempo nella neocorteccia. E quindi se ci annoiavamo mentre leggevamo Manzoni a scuola anche oggi sbadigliamo alla vista dei promessi sposi. Però se riusciamo a cambiare le nostre emozioni controllandoci potremmo riuscire a imparare quel maledetto inglese che è tutta la vita che ci perseguita.

Un’altra scoperta relativa alle emozioni, di un secolo prima, è che quando una comunicazione fortemente emotiva viene interrotta bruscamente (es: la rottura di una relazione) si genera un effetto di vuoto che ci spinge a cercarne i motivi, magari inesistenti. Questo lo dobbiamo a Bluma Zeigarnik. Ecco svelato il motivo perché le serie tv si interrompono sempre in un momento emotivo. Il seguito alla prossima puntata.

Il punto di vista precedente che aveva avuto più successo relativamente alle emozioni è stato quello derivato da quarant’anni di studi di Paul Ekmann che, a partire da ricerche antropologiche ha avuto modo di notare che ci sono emozioni di base che sono comuni a tutti gli uomini, a prescindere dalla cultura di origine. A scatenare il putiferio è stata la sua constatazione che le emozioni di base si esprimono attraverso microespressioni facciali riconoscibili.

Tutto questo prima che venissero scoperti i neuroni specchio a metà degli anni ‘90. I neuroni specchio sono quelli che di fatto ci danno la capacità di imitare (imitazione=apprendimento) e di provocare empatia, di accendere le stesse parti del cervello della persona che stiamo guardando o ascoltando.

Negli ultimi anni sono emersi gli studi di Lisa Feldmann Barrett sulla natura delle emozioni e spesso, secondo lei, si dimostrano incontrollabili perché sono reazioni che abbiamo appreso, a cui siamo stati educati, per saper scegliere come reagire in ogni situazione. Insomma, per la maggior parte sono anch’esse un prodotto culturale specifico del contesto in cui cresciamo, soprattutto se vissute in un gruppo. Paul Ekman potrebbe sembrare in contrapposizione con questa tesi, in realtà i suoi studi sono piuttosto profondi e distinguono le reazioni emotive del singolo. Nel 1987 condusse un esperimento per stabilire quanto influisse il contesto sociale, testando un gruppo di americani e uno di giapponesi, rilevando come i giapponesi apparissero meno espressivi solo in compagnia, mentre da soli esprimevano le stesse emozioni primarie.

Vista la varietà delle ipotesi e la vivacità del dibattito vi invitiamo a guardare qualche filmato su YouTube o TED Talk, perché a parte Karl Popper, gli altri autori sono tutti vivi mentre sto scrivendo e quasi tutti continuano a pubblicare.


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