Nella bibbia il mio falegname preferito diceva “Gratuitamente avete ricevuto gratuitamente date. (Mt 10,8).”
Tutti i collaboratori di Lecco 100 lavorano gratuitamente. Per la maggior parte di noi è una scelta normale, perché siamo stati educati a farlo in strutture sociali come gli oratori, gli scout e l’infinita galassia del volontariato italiano. È una questione di educazione, non di cultura.
Per gli adulti
Ai miei allievi dei master ho sempre detto che insegnare è come dare da mangiare agli uccellini al parco, poi volano via.
È uno dei motivi per i quali preferiamo fare un master intendo, 3/4 mesi il venerdì full-time e il sabato mattina. Perché in poco tempo, con una dozzina di persone creiamo un’esperienza intensa che segnerà le loro vite e le nostre. Alcuni di loro già hanno imparato a ridare qualcosa di quanto hanno ricevuto, portando le loro lezioni in aula. Noi abbiamo fiducia del fatto che ci sostituiranno progressivamente.
Durante i master i ragazzi incontrano formatori diversi e soprattutto imprenditori e dirigenti di enti che raccontano pezzi della loro storia e che rispondono in diretta, senza mediazioni, alle domande.
Con gli adolescenti
Dopo aver fatto lezioni e conferenze in decine di scuole, se mi guardo indietro posso citare Blade Runner: “E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia.”
È inevitabile che le scuole utilizzino i formatori in tempi e modi funzionali ai programmi ed agli impegni scolastici. Questo fa sì che le sessioni siano delle monografie la cui riuscita dipende principalmente dall’età e dal numero dei partecipanti.
Le scuole restano comunque vive e piene di momenti magici se li sai guardare. Girando per le scuole ho visto casualmente adolescenti al primo bacio alla macchinetta del caffè prima dell’inizio della scuola, ho parlato con operatori a cui hanno ordinato per scherzo delle scarpe online, ho chiacchierato con dei ragazzi di tredici anni appassionati di tecnologia dopo la lezione su social e mobile, ognuno con i suoi aneddoti e dopo cinque minuti avevamo tutti tredici anni e la stessa passione. Ho parlato con insegnanti stalkerizzate (si può dire ?!?). Ho insegnato a fare le mappe mentali a bambini di sei anni insieme alle maestre. Ho una collezione di ringraziamenti che mi conforta e mi ispira ad aggiornarmi e a continuare a versare gocce di sapere nel mare della scuola.
Noi abbiamo un programma di lezioni pensate e selezionate per i ragazzi delle scuole superiori di secondo grado. Ci abbiamo lavorato per anni e continuiamo a innovare, tecnologicamente e umanamente. Eccole qua:
SESSIONI ONLINE O IN PRESENZA DA 3 ORE
Strumenti per progettare e pianificare il nostro futuro Dalla saggezza dell’oriente al pragmatismo anglosassone alla filosofia occidentale nascono alcuni dei metodi più noti per cercare il tuo posto nel mondo.
Apprendere al meglio con le Mappe mentali dalle neuroscienze una tecnica per apprendere al meglio delle nostre capacità mentali.
I Personal Knowledge Management per gestire informazioni Tutti scrivono, pochi sono organizzati a gestire i contenuti con metodo. I PKM sono una classe di programmi destinata a contenere tutte le note e i collegamenti che scriviamo studiando e lavorando.
Risolvere problemi con tecniche di creatività dove la logica fallisce, l’immaginazione applicata con metodo, può aiutare a risolvere problemi.
Computer, algoritmi e intelligenza artificiale attraverso giochi e dialoghi vedremo come la logica, la statistica e la tecnologia ci hanno portati a parlare di Intelligenza Artificiale.
La blockchain e le sue applicazioni un nuovo modo di gestire i dati e le transazioni.
Molti degli argomenti che trattiamo hanno degli articoli introduttivi sul nostro blog https://www.lecco100.it/ che contiene anche gli articoli scritti dagli allievi che hanno partecipato alle lezioni.
La signora Stein intendeva dire che una rosa può essere un simbolo, ma alla fine è anche una rosa. E da qui potremmo dire che la capacità umana di astrarre è il fondamento di qualsiasi teoria, fra le quali rappresentare simbolicamente qualcosa: un dato.
Negli ultimi 30 anni la commistione fra informatica, insiemistica, teoria dei grafi, linguistica computazionale, data science e intelligenza artificiale hanno cambiato il mondo, cominciamo a parlarne a partire da concetti semplici.
Questa non è una pipa.
Come potete vedere nella foto di copertina dell’articolo anche Rene Magritte ha rappresentato artisticamente il fatto che un’immagine rappresenta qualcosa, ma non è la cosa.
Quindi, la nostra capacità di rappresentare nella nostra mente qualcosa a partire dalla sua immagine o dal suo nome, ci da accesso a infinite possibilità, idee e realizzazioni per la manipolazione della realtà, possibilmente per trarne un vantaggio.
I dati
Un Dato è un simbolo che può essere manipolato, ad esempio un numero può essere manipolato con il calcolo, oppure un Nome può essere declinato al plurale (Pipa, Pipe) o può essere un simbolo che rappresenta un’entità astratta come pi greco π o come infinito ♾️ .
SINGOLARE: Rosa – Rosae – Rosae – Rosam – Rosa – Rosa PLURALE: Rosae – Rosarum – Rosis – Rosas – Rosae – Rosis.
Quando i dati diventano più di uno se sono numeri possiamo manipolarli usando le tecniche dell’aritmetica possono essere contati, sommati, sottratti, moltiplicati, divisi. Usando le tecniche dell’insiemistica possiamo verificare se hanno qualcosa in comune categorizzandoli.
Per poter essere rappresentati i dati hanno bisogno una struttura che li contenga.
Per poter manipolare i dati noi umani dobbiamo conoscere i metodi che possiamo applicare, statistici ad esempio.
Per poter estendere le tecniche di manipolazione dei dati dobbiamo definire le relazioni fra i dati, ad esempio la relazione fra un nome, un cognome e il numero di un documento di identità.
Se usiamo degli strumenti informatici come un foglio elettronico o un database possiamo organizzare la rappresentazione di qualcosa sotto forma di tabelle ed usare una serie di metodi propri dei software come Excel e Access, per citare i più popolari al momento, usati per contenere
per cercare, ordinare, e aggregare i dati.
I Database
Possiamo descrivere qualcosa con un testo, ad esempio un fiore così:
Questo fiore è una MARGHERITA, è di colore GIALLO ed è alta 15 cm.
Questo fiore è una VIOLA, è di colore VIOLA ed è alta 10 cm.
Questo fiore è un LILIUM , è di colore ROSSO ed è alta 110 cm.
Questo fiore è una ROSA , è di colore ROSSO ed è alta 90 cm.
Quindi ogni fiore ha delle qualità, che chiameremo attributi come :
NOME
COLORE
DIMENSIONE
Se creiamo una tabella usando questi attributi otterremo:
Attributi=CAMPI
Righe=RECORD
Nome
Colore
Dimensione
Margherita
Giallo
15
Viola
Viola
10
Lilium
Rosso
110
Tabella=DATABASE
Rosa
Rosso
90
E’ possibile Inserire nuovi RECORD, modificarli, eliminarli, ordinarli, cercarli.
Come in un libro è possibile cercare le pagine dei fiori usando un INDICE.
In un database l’indice è un file separato e non visibile che contiene il numero di record, che è come un numero di pagina, ed il campo indicizzato, ad esempio il nome:
Record
Nome
3
Lilium
1
Margherita
4
Rosa
2
Viola
Però a differenza di un libro è possibile creare indici per ogni colonna, e molto rapidamente. Questo non si può fare con un elenco cartaceo.
Quindi se qualcuna arriva nel mio negozio di fioraio e mi chiede che fiori rossi ho, posso ordinare al volo la tabella sul database e rispondere.
L’informazione
“Di Dio ci fidiamo, gli altri portino i dati” – William Deming
L’informazione è una aggregazione di dati. Ad esempio, la somma dell’imponibile delle fatture ci dice il totale del fatturato, un nuovo dato derivato dall’aggregazione di altri dati.
Un record, composto da più campi è un’informazione.
I dati vengono sempre visualizzati su una matrice di righe e di colonne, dove le colonne rappresentano la categoria o la proprietà di una informazione, il nome per esempio, mentre le righe rappresentano l’informazione grazie alla relazione fra le proprietà del singolo elemento, NOME, COLORE E DIMENSIONE.
Excel per manipolare i dati
Attualmente è possibile gestire una grande quantità di dati anche usando un foglio elettronico perché, nonostante utilizzi solo la memoria RAM del computer che lo ospita, può manipolare centinaia di migliaia di record in tempi accettabili. In Excel i database vengono chiamati elenchi.
Per fare qualsiasi operazione su un elenco è necessario avere il cursore posizionato al suo interno. Perché in un foglio Excel ci sono altre righe e colonne e quindi l’unico modo in cui Excel può sapere su cosa agire è verificare di essere in un rettangolo di dati, senza interruzioni sulla prima riga fra i nomi delle colonne e senza righe vuote. In questo modo è anche possibile avere più elenchi in aree diverse dello stesso foglio.
La gestione degli elenchi è quindi pensata per ottenere informazioni da un elenco:
Per ottenere un’informazione da un elenco la prima cosa da fare è sempre ORDINARE, ad esempio per trovare il numero di telefono di un’azienda metterò in ordine di ragione sociale e sulla stessa riga troverò tutti i dati dell’azienda incluso il telefono.
L’ordinamento si fa sulle COLONNE, la lettura sulle RIGHE, in un database le colonne si chiamano CAMPI e le righe si chiamano RECORD.
Le colonne contengono tutte le caratteristiche dell’entità che possiamo descrivere con una frase, ad esempio:
“Il cliente ALFA che risiede in via CORSO a LECCO in provincia di LC con CAP 22053, numero di telefono 1 ci deve 200.000 euro” Ogni sinonimo ed aggettivo della frase possono diventare una colonna. In questo modo posso creare una tabella dove in ogni riga è rappresentata la sintesi della frase sopra esposta. Nella tabella è possibile aggiungere un grande numero di righe e quindi è comodo poter scegliere di ordinarle per una qualsiasi colonna.
Ad esempio, se voglio sapere chi è il cliente che mi deve più soldi il metodo più rapido è posizionare il cursore in una qualsiasi cella DENTRO la tabella nella colonna CREDITI e premere il pulsante di ordinamento decrescente che troviamo nel menù Dati .
Notate che i sistemi di ordinamento che utilizziamo sono gli stessi che usiamo per scrivere, per contare e per orientarci nel tempo, ovvero l’ALFABETO, I NUMERI E LE DATE ed oltre a essere possibile ordinare per ogni singola colonna usando Excel l’ordinamento è molto più veloce che se fossero delle schede cartacee.
Ordinamenti
L’ordinamento di un elenco può anche essere più articolato, ad esempio posso avere bisogno di dare ai miei agenti il totale dei crediti che devono riscuotere, e visto che ho un agente per ogni provincia è comodo poter ordinare per PROVINCIA e, per aiutare l’agente, per CITTÀ. Lo posso fare a partire dal pulsante ordina che apre una finestra di dialogo nella quale posso inserire ordinamenti per livelli
Il risultato:
Filtri
Dall’inizio degli anni ’90 è disponibile in Excel la funzionalità dei filtri, che permette di dichiarare cosa stiamo cercando con una modalità semplicissima. Per attivare questa modalità premiamo il pulsante FILTRO nel gruppo Struttura e la prima riga, contenente i nomi delle colonne dell’elenco, si trasforma in una serie di caselle combinate:
Se voglio vedere solo i clienti della provincia LC faccio clic sulla freccia nel lato destro della colonna Pr e mi apparirà una ricca finestra di dialogo che mi permette di vedere in ordine crescente i dati contenuti nella colonna provincia, senza ripetizioni e quindi di scegliere LC.
È anche possibile attivare e mantenere memorizzato un filtro attraverso una ricerca, cosa molto comoda se, ad esempio, voglio filtrare solo le descrizioni di un articolo che contengono una parola o parte di essa.
Il risultato:
In pratica Excel ha semplicemente nascosto le righe dove la colonna provincia non contiene LC, come possiamo vedere dai numeri delle righe a sinistra.
Per togliere il filtro attivato posso usare il pulsante Cancella, e per spegnere i filtri basta fare clic sul pulsante FILTRO che funziona come un interruttore acceso/spento.
Le relazioni
“Tutti i modelli sono sbagliati, ma alcuni sono utili” – George Box
Le relazioni derivano dalla comune appartenenza dei dati ad un qualche tipo di insieme o in qualche tipo di categoria. Ad esempio, un record è la relazione fra i campi che lo compongono per descrivere le proprietà, gli attributi di una entità come nella tabella delle aziende, dove ogni riga contiene i dati che ci servono per costruire delle informazioni significative.
I database più diffusi si basano sull’insiemistica e si chiamano per l’appunto database relazionali.
Se ad esempio ho una tabella che contiene i dati anagrafici dei clienti e ho una tabella che contiene l’elenco degli ordini che ricevo, la tabella degli ordini conterrà sicuramente una colonna con il codice identificativo del cliente. Il codice identificativo del cliente nasce della tabella dei clienti ed è univoco per ogni cliente. In questo modo io posso interrogare la tabella degli ordini cercando il codice di uno specifico cliente e vedere tutti i suoi ordini perché il codice del cliente crea una relazione con gli ordini.
I database hanno un linguaggio specializzato per interrogare i dati che si chiama S.Q.L. structured query language.
I grafi
La teoria dei grafi permette di visualizzare dei fenomeni che dipendono dal tipo di relazione fra i dati, ad esempio da sinistra verso destra abbiamo:
Identificazione delle comunità, centralità, previsione di collegamenti, somiglianza, ricerca del percorso più breve
Anche per i grafi sono stati creati strumenti informatici, che appartengono alla classe dei database e si chiamano GraphDB. Non esistono record, esistono solo nodi e relazioni. Sia i Nodi che le relazioni possono avere un record di dati che li descrive e ogni relazione deve avere una direzione.
I database grafici sono meno diffusi ma in rapida espansione perché sono molto efficienti nel manipolare grandi quantità dii dati e offrono un’alternativa più semplice alla programmazione pura per interrogare i dati. L’uso dei grafi è l’analisi delle associazioni fra i dati, ad esempio quando Amazon vi suggerisce i libri da leggere usa un grafo.
Statistica
Molti metodi statistici, come le correlazioni e le regressioni, sono basati sulla relazione fra colonne di dati della stessa tabella. Ad esempio, misurare la correlazione fra il prezzo degli immobili e la posizione rispetto al centro della città vuol dire verificare quanto è probabile che un immobile abbia un valore più alto quando è in una posizione più vicina al centro della città.
Altri metodi come la moda, la mediana e la media sono basati sulle relazioni fra i dati di una colonna o di una riga.
Nel master Lecco 100 incappiamo spesso in problemi di rappresentazione grafica, di linguistica e in fenomeni numerici, ad esempio relativamente ad internet, all’intelligenza artificiale o alle block-chain.
Questo post è solo la punta dell’iceberg e lo’ho scritto perché da qualche parte bisogna cominciare. La buona notizia è che è possibile creare dei modelli per ogni cosa si voglia rappresentare, la cattiva notizia è che c’è sempre una percentuale di errore.
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum – da Cicerone a Sant’Agostino
Tutti sbagliamo e ci sono errori di tipi diversi, ne citiamo qualcuno.
Il primo errore riguarda le leggi morali, se sai che hai sbagliato e continui a farlo è male, se sai che avevi il dovere morale di fare qualcosa e non l’hai fatto è male. Questo dipende dall’educazione che ricevi.
Il secondo tipo di errore è l’errore percettivo, reagisci in modo errato in base alle informazioni che hai e alle tue capacità naturali. Questo dipende da come funziona il cervello umano.
Il terzo tipo di errore è l’errore sostanziale. In aritmetica 1+1=2, se scrivi tre è un errore sostanziale. Questo dipende dalle regole del sistema applicato.
Il primo errore, educazione e responsabilità
Per dirla come Umberto Galimberti noi essere umani siamo molto più bravi a creare qualcosa che a prevedere gli effetti di quello che abbiamo creato. Questo genera una serie di errori di sistema.
Quindi abbiamo creato tantissime tecnologie che a medio-lungo termine stanno distruggendo il pianeta. Combustibili fossili, Gas per il raffreddamento che procurano il buco nell’ozono, farmaci che creano dipendenze e così via. Essendo nell’età della tecnica, della tecnologia, secondo Galimberti l’errore si riassume con la frase “non è di mia competenza”, perché si cerca di gestire con la razionalità la risposta ai bisogni umani. A partire dalla scuola, che togliendo la soggettività dell’allievo, perde la sua funzione educativa e si concretizza con il sistema che ci valuta numericamente senza tenere conto delle nostre capacità personali. in altri filmati Umberto Galimberti fa notare che il massimo delle capacità umane va dai quindici ai venticinque anni circa. In occidente in questa fascia di età impediamo ai ragazzi di fare esperienza, li releghiamo al ruolo di accumulatori di sapere e gli facciamo odiare la scuola. Io ho passato cinque anni in una scuola serale e posso testimoniare che è stato talmente doloroso da far sì che con gli amici, quando uscivamo la sera in auto, ci fermavamo un minuto fuori dalla scuola solo per essere sicuri di esserne usciti. Nella mia classe originale il primo anno delle oltre venti persone che eravamo solo quattro sono arrivate a diplomarsi in quinta. Il problema della responsabilità è che è rivolta a soddisfare la legge o il capo, non il cliente, l’allievo.
Possiamo migliorare moltissimo.
La scoperta dell’errore e la responsabilità della scuola
“Sette volte cadi, otto rialzati” – proverbio giapponese
Nel mio percorso professionale mi sono sempre sfidato ad insegnare a persone con disabilità cognitive e ragazzi in età adolescenziale, fino ad arrivare ad insegnare le mappe mentali ai bambini di prima elementare, dopo averlo fatto con i maestri e le maestre dei rispettivi istituti.
La sfida consiste nel trasformare in un gioco con elementi noti la creazione di una mappa mentale, ad esempio costruiamo una casa disegnandone i pezzi. Quando abbiamo finito possiamo ritagliarli e guardare insieme a tutti gli altri cosa possiamo costruire.
I bambini di 5/6 anni non sanno ancora leggere e scrivere compiutamente e hanno solo rudimenti sull’uso dei numeri, eppure il loro potenziale ed il loro entusiasmo è incredibile. Sembra quasi che tu possa chiedere loro di fare una cosa che non conoscono e loro se la inventeranno su due piedi.
Già in seconda elementare i bambini hanno imparato che quando svolgono un compito poi vengono valutati. I bambini associano la valutazione a se stessi, non sono in grado di distinguere un risultato dal loro essere giusti o sbagliati. Ogni valutazione è un giudizio sulla loro identità. Da qui nasce l’associazione ERRORE=GIUDIZIO=DOLORE.
Questi problemi (in Europa) sono stati già risolti nei secoli passati, dove in molte scuole religiose, perché solo la chiesa aveva le risorse per creare strutturalmente persone di cultura, si insegnava a leggere e a scrivere sottolineando le cose giuste, non quelle sbagliate. Quello che oggi chiamiamo pensiero positivo.
Gli esseri umani imparano nonostante tutto
Nel 2005 ho incontrato Tony Buzan, inventore delle mappe mentali e uno dei più grandi geni del ventesimo secolo e la prima frase che ha detto all’inizio del suo intervento è stata:
“La prima forma di apprendimento è l’imitazione”.
Se tutti imparano imitando gli altri, quindi guardare cosa fanno gli altri è un modo per migliorare noi stessi, e impedire ai bambini di “copiare” è contronatura, o sai o puoi imparare. Nei compiti in classe fare una copia di parole senza senso è solo un modo per sopravvivere a una valutazione, non lo faresti mai se potessi scegliere. Il sistema delle valutazioni è nato perché semplifica in modo drastico la gestione dei risultati, la quantità di lavoro degli insegnanti e permette una più semplice politicizzazione della didattica, mentre la formazione dovrebbe essere diversa per ogni singolo allievo, tenere conto delle capacità del singolo, esattamente come accade nei ruoli professionali. Spostare la priorità sulle valutazioni e sulle economie di scala ha portato a pensare che i problemi della scuola si possano risolvere attraverso procedure normate, mentre il problema è che far crescere ogni singolo bambino richiede sempre un intero villaggio.
Oggi esistono le scuole in nord Europa che evitano di applicare valutazioni nei primi anni di scuola e di insegnare attraverso esempi usando tecniche costruttiviste e di gioco che implicano l’acquisizione delle conoscenze, come leggere e scrivere.
Sbagliando si impara
Da questo punto di vista io faccio sempre un esempio ai ragazzi: “quando mio figlio era piccolo ogni tanto veniva da me con un mazzo di carte e voleva giocare. Di solito lui conosceva il gioco e io no. Secondo Voi se avessimo fatto cinque partite mentre io cercavo di capire come NON sbagliare quante ne avrei perse?” I ragazzi stimano da tre a cinque. “E se io invece avessi cercato di imparare tutti gli errori possibili nelle prime due partite quante ne avrei potute vincere?” Più di due probabilmente.
L’errore è uno splendido stimolo per imparare, se lo consideriamo una sfida, come avviene durante il gioco. La prima regola del gioco è che è solo un gioco; quindi, anche se perdiamo non siamo in pericolo. I bambini che giocano a nascondino lo fanno per affrontare la paura innata di sentirsi abbandonati vicino ad un predatore. Il brivido dello sfuggire al predatore trasforma la paura in un’emozione affrontabile e insegna strategie come nascondersi, scappare, osservare il territorio. Abbiamo già approfondito alcuni aspetti di quanto il gioco faccia emergere le migliori capacità umane, vedi: Jane McGonigal e la realtà in gioco
L’errore percettivo
“Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore” – Bertold Brecht
Daniel Kahneman è uno psicologo israeliano, vincitore, insieme a Vernon Smith, del Premio Nobel per l’economia nel 2002 «per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza». vedi Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Daniel_Kahneman
Ho letto il suo libro Pensieri lenti e veloci, seicento pagine di esempi e di scoperte degli errori che siamo portati a fare in quanto esseri umani con i nostri punti ciechi dovuti al bisogno di equilibrare le nostre capacità per sopravvivere immersi in un ambiente pericoloso e imprevedibile.
Kahneman e Smith hanno scoperto che la mente funziona in due modi diversi, uno lo potremmo definire quello istintivo (veloce), se camminiamo per strada soprappensiero siamo comunque in grado di evitare gli ostacoli, e l’altro razionale (lento), se qualcuno ci chiede che ore sono per prima cosa ci fermiamo e poi guardiamo l’orologio.
Il problema dei nostri comportamenti antieconomici è che cerchiamo di rispondere a situazioni razionali in modo istintivo e quindi tutti tendiamo a stimare i tempi di un progetto più brevi di quello che statisticamente è storicizzato, e di fare scelte antieconomiche se non riusciamo ad accedere alla nostra mente razionale.
Ovviamente questo non copre tutti i possibili errori percettivi a cui quotidianamente andiamo incontro, quindi impariamo che si chiamano Bias.
«Se qualcosa può andare male, lo farà sicuramente» – Legge di Murphy
Arrivati a questo punto potremmo quasi dire che l’errore sostanziale è il più chiaro con cui possiamo avere a che fare. A questo riguardo quando spiego ai ragazzi che cosa impara un programmatore nel tempo, dico sempre che la prima cosa che fa è sbagliare, la seconda è sbagliare ancora e la terza tentare di sbagliare di meno. La programmazione è prevalentemente scrittura, quindi si possono fare errori grammaticali, logici, tassonomici e matematici, più tutti quelli che solo usando un computer scoprirai. Però il piacere della sfida, il fatto che di solito rimediare ad un errore consolida il tuo programma e la soddisfazione del cliente fanno il piacere di questo lavoro. Assomiglia molto al lavoro di un progettista che disegna parti meccaniche.
Eppure, l’errore è alla base di molte applicazioni dell’intelligenza artificiale. Quando spiego ai ragazzi cosa può fare una rete neurale, facciamo un gioco con cui loro devono arrivare a un obiettivo tradotto in una cifra di danaro. Durante il gioco ricevono le informazioni di dove sono arrivati rispetto all’obiettivo, solo dopo aver agito senza sapere cosa hanno fatto gli altri. Dopo qualche giocata la differenza dall’obiettivo si assesta fino a ridursi in modo soddisfacente.
Durante il gioco devo usare la parola DIFFERENZA, mentre nel caso specifico si chiamerebbe ERRORE, ma ho notato che se uso la parola errore tutti si deprimono e il perché l’ho spiegato sopra.
Il lavoro della rete neurale in questo caso è proprio quello di ottimizzare la soluzione di un problema di cui non abbiamo tutte le informazioni, semplicemente facendo una serie di tentativi dopo aver calcolato un possibile CORRETTORE all’ERRORE. La differenza fra gli esseri umani che giocano è la rete neurale è che la rete neurale risolve lo stesso gioco che è durato circa quarantacinque minuti in pochi millesimi di secondo.
L’ispirazione su questo tema mi è venuta nel 2012 quando l’ingegner Pastorino, figura storica dell’imprenditoria lecchese, ha fatto un intervento al master Lecco 100 sul tema dell’errore. Non dimenticherò mai quando disse: “Dal successo non si impara, dall’errore si impara sempre. Quasi sempre si può correggere un errore, molto spesso si può sfruttare.”
Virginia Vidaura, istruttrice del Corpo, con le mani nelle tasche della tuta, ci osserva con calma speculativa. Primo giorno di addestramento. “Poiché è logisticamente impossibile aspettarsi qualsiasi cosa, ci ha detto in modo neutro, vi insegneremo a non aspettarvi nulla. In questo modo, sarete pronti a tutto”. (Broken angels – Richard Morgan)
Gli esperti stimano che la preparazione è il 90% del successo.
Partiamo dalla seconda, è più semplice. Il 10% è rappresentato dagli imprevisti, cioè qualcosa che non solo sfugge al nostro controllo, ma che dobbiamo affrontare.
Pensate alla pandemia, aerei a terra, scuole chiuse, turismo bloccato e ognuno di noi può aggiungere qualcosa.
Un formatore mi faceva un esempio: “Hai trovato un cliente e lo devi incontrare. Ti vesti bene, un pizzico di dopobarba e ti presenti puntuale all’appuntamento. Non vi siete ancora visti in presenza, ma nelle fasi precedenti è andato tutto bene, l’incontro dovrebbe essere solo una formalità per firmare il contratto e vedere l’azienda. Eppure, dopo pochi minuti ti rendi conto che c’è qualcosa che non va, e il cliente, improvvisamente, con una scusa, sospende la trattativa. Il formatore concludeva dicendo: Lui non sa perché gli sei stato così antipatico a fior di pelle. Tu men che meno. Il problema è che tu ti sei messo lo stesso dopobarba dell’amante della moglie del tuo cliente.”
Una volta sono andato ad una riunione ed eravamo in due, finché abbiamo scoperto che avevamo sbagliato sala, rovinando completamente la comunicazione.
Un’altra volta ho trovato la strada chiusa, un’altra volta mi ha fermato e multato un vigile. Preparazione in questo caso vuol dire due cose: 1) parti un’ora prima 2) prevedi un fondo per gli imprevisti economici di viaggio.
Perché c’è sempre un imprevisto.
Il ruolo e la motivazione
Mentre sto scrivendo questo articolo dietro di me ci sono sei giovani che stanno iniziando una nuova campagna al gioco di ruolo Dungeon and Dragons. Sono esattamente due ore che il master sta raccontando il contesto, le regole, cosa possono fare i singoli ruoli e quali azioni possono essere svolte in gruppo e con che esito. Il master ha l’esperienza di qualche anno di campagne e la preparazione è veramente impegnativa. Questo tipo di preparazione predispone al project management e secondo me va messa a curriculum perché richiede l’abitudine alle diverse culture dei ruoli dei partecipanti e ad immaginare situazioni possibili senza mai perdere di vista lo stato della campagna e l’obiettivo.
Durante il master Lecco 100 abbiamo diversi altri testimonial ed insegnanti che rendono molto bene l’idea di cosa sia la preparazione.
Michele Motta nel 2009 inizia il suo servizio come volontario nella protezione civile di Valgreghentino. Il percorso lo ha portato oggi ad essere vicepresidente del gruppo di Merate. Il suo contributo nell’associazione lo ha portato ad essere presente in diverse occasioni, tra cui il terremoto dell’Aquila nel 2009. Tutte le descrizioni di Michele Motta hanno rappresentato il fatto che la quasi totalità dell’attività della Protezione civile è dedicata alla preparazione. Viene mantenuta sempre attiva, anche in periodi lavorativi e ricalca le professionalità personali di ognuno dei volontari. Un idraulico interverrà sugli impianti, un autista guiderà i mezzi, un cuoco cucinerà. Potete trovare nel blog diverse testimonianze dei suoi interventi https://www.lecco100.it/index.php/2019/06/03/lezione-del-5-aprile-gli-imprenditori-si-raccontano/.
Domenico Esposito, responsabile della formazione del personale commerciale e di vendita della Stanley Black & Decker. è un formatore esperto e con esperienza internazionale. Ha lavorato in presenza, in remoto, tramite sketch video registrati, in diretta su televendite, con italiani e con colleghi internazionali in inglese. Fra i vari articoli sul blog trovate i suoi suggerimenti: https://www.lecco100.it/index.php/2021/03/09/venerdi-26-febbraio-la-conciliazione-vita-lavoro-il-public-speaking/.
La motivazione è la parte psicologica della preparazione. Devi avere chiaro qual è il tuo ruolo e quali sono le responsabilità che attiene. Qual è la tua missione e chi vuoi essere. Tu puoi agire anche senza avere un particolare obiettivo, solo per abitudine o necessità. Farlo consapevolmente e con obiettivi chiari migliora la qualità della vita.
Una metafora per spiegare questo punto è la storia dei tre spaccapietre che potete trovare in molte versioni diverse tramite Google, e fa così:
“Un pellegrino aveva fatto un voto di raggiungere a piedi un lontano santuario. Nel percorso, si trovò a passare per una strada dove qua e là degli uomini scalpellavano grossi frammenti di roccia per ricavare blocchi di pietra da costruzione cubiformi. Il pellegrino si avvicinò al primo degli uomini e chiese: «Che cosa fai?». «mi sto ammazzando di fatica scalpellando delle pietre» rispose l’uomo. Il pellegrino non disse nulla e riprese il cammino. Chiese ad un’altro spaccapietre, stanco e impolverato come il primo. «Che cosa fai?» chiese anche a lui il pellegrino. «Lavoro da mattino a sera per mantenere mia moglie e i miei bambini» rispose l’uomo. In silenzio, il pellegrino riprese a camminare. Giunse quasi in cima alla collina. Là c’era un terzo spaccapietre, provato come gli altri. «Che cosa fai?» chiese il pellegrino. rispose l’uomo, «Sto contribuendo a costruire una cattedrale». E con il braccio indicò la valle dove si stava innalzando una grande costruzione, puntata verso il cielo.”
Quando parliamo ai giovani nelle aule del master una delle prime cose che facciamo è un percorso per definire chi vuoi essere e cosa vuoi fare. In 11 anni di master abbiamo avuto allievi che frequentando il master hanno capito che quello che avevano studiato e quello che volevano fare erano due cose diverse. Abbiamo avuto allievi che hanno fatto il master e poi hanno preso un anno sabbatico, altri che hanno cambiato radicalmente i loro modelli di comportamento. Come dicevano i filosofi prima di Socrate “conosci te stesso” è la prima regola a cui tendere, vedi l’articolo sull’Ikigai.La condizione umana e la saggezza. Scopriamo l’Ikigai.
La preparazione tecnica
La preparazione tecnica è tutto quello che devi sapere per fare bene il tuo lavoro.
Conoscere il cliente o i colleghi per cui lavori, la materia specifica su cui lavori, il contesto specifico in cui agirai, gli strumenti che ti permettono di farlo, i metodi e le tecniche che ti permettono di raggiungere i risultati.
Se fai un lavoro che ti piace, acquisire il sapere necessario a farlo non è una sofferenza.
Anche questo è importante perché il ritmo attuale del cambiamento sia nelle scienze che riguardano chimica e fisica, dal saldatore al panettiere al contadino, sia in ambito tecnologico e teorico è veloce per un essere umano, e richiede un costante sforzo per l’aggiornamento.
Io ho fatto il programmatore e l’analista per vent’anni e ho dovuto imparare a programmare con paradigmi diversi: interfaccia a carattere su singolo pc, interfaccia grafica in ambiente Client-Server, la programmazione web, database sql e NOsql e GraphDB; infine linguaggi generalisti come R e Python per il data science. Un lavoro di grande soddisfazione e un ritmo che ti consuma. Ci sono attività meno veloci e il cambiamento è una costante in ogni settore.
Un vero professionista si adatta a tutto e fa delle scelte chiare. Si prepara e poi agisce. Fallisce, cade e si rialza e risponde dei suoi comportamenti.
Il terzo elemento
Il terzo elemento è il comportamento, l’atteggiamento verso chi incontri.
Se hai un obiettivo quando incontri qualcuno è tutto più facile, perché il tuo comportamento è guidato dalle tue intenzioni, non dalle emozioni del momento. Riuscirai a gestire anche un cliente particolarmente negativo, perchè come diceva il già citato imperatore stoico Marco Aurelio:” Al mattino comincia col dire a te stesso: incontrerò un indiscreto, un ingrato, un prepotente, un impostore, un invidioso, un individualista.”
Se riuscirai a gestire il cliente difficile con tutti gli altri farai anche meglio.
Sicuramente litigare con un cliente o un collaboratore non produce un risultato positivo per il gruppo.
In pratica stiamo parlando di intelligenza emotiva, un percorso di consapevolezza sulle proprie emozioni che abbiamo già descritto in questo articolo:
Insistere e migliorare
Ci sono svariati elementi che ci possono portare al successo e per i quali non è necessario essere dei fuoriclasse:
comportamenti sociali adatti al contesto
carisma personale
l’esperienza, diventare un esperto
la determinazione, insistere
un pizzico di fortuna
Riuscire ad individuare cosa le persone apprezzano delle nostre capacità ci aiuterà a velocizzare i nostri progressi. Attenzione: Realizzare se stessi e avere successo sono due cose diverse. Cercare un equilibrio fra le due vuol dire accettare la vita e noi stessi per quello che siamo. Uno dei nostri allievi lavora con soddisfazione come ingegnere e nel contempo fa volontariato come clown nei reparti pediatrici degli ospedali.
Vieni al master Lecco 100 e impara a conoscerti meglio.
“Dio è ovunque, ma è sempre in riunione.” – Flavio Oreglio
Carl Gustav Jung e la terapia di gruppo
I telefilm americani sono pieni di personaggi che frequentano i gruppi di alcolisti anonimi e derivano dall’idea originale di poter dare accesso a persone senza mezzi o che vogliono mantenere l’anonimato a gruppi di cura, in modo semplice e in qualsiasi spazio accessibile.
“come medico, io considero tutti i disturbi psichici, siano essi di tipo nevrotico o psicotico, come malattie dell’individuo; ritengo che il paziente debba essere trattato di conseguenza. L’individuo può venir trattato in gruppo, solamente se ne fa parte. Se è così, questo dovrebbe essere un grande aiuto, dal momento che, lasciandosi sommergere nel gruppo, egli sfugge in un certo senso a sé stesso. L’appartenenza ad un gruppo aumenta la sensazione di sicurezza, e diminuisce il senso di responsabilità. Una volta, mi venni a trovare in una fitta nebbia, mentre stavo attraversando un pericoloso ghiacciaio, insieme ad una compagnia di soldati. La situazione era così pericolosa che ognuno dovette fermarsi dove si trovava. Eppure, non vi fu traccia di panico, ma piuttosto lo stato d’animo di una festa privata! Se si fossero trovate là solamente una o due persone, probabilmente non si sarebbero neanche rese conto del pericolo della situazione. In quella circostanza, comunque, i coraggiosi e gli esperti della compagnia poterono far mostra delle loro qualità. Quelli timidi poterono appoggiarsi alla forza dei loro compagni, e nessuno fece parola riguardo la possibilità di dover improvvisare un accampamento sul ghiaccialo, cosa che avrebbe probabilmente provocato dei congelamenti agli arti, per non parlare poi dei pericoli se si fosse tentato di scalare il ghiacciaio. Questo è tipico dello spirito di gruppo.”
Ho scelto di cominciare così perché di solito quando si propone la formazione sulle modalità professionali con cui svolgere riunioni tutti pensano di sapere già cosa è una riunione e non ne colgono il senso profondo tanto sono abituati a considerarle come se fossero obblighi professionali o riti aziendali.
Quindi in aula nel Master Lecco 100 si procede su come organizzare e gestire una riunione e che tipo di riunioni possiamo proporre a seconda del contesto professionale. Cominciamo dicendo tre cose:
le riunioni funzionano perché sono una dichiarazione di appartenenza a un gruppo e questo risponde a un bisogno della nostra specie.
le riunioni sono uno strumento, non un processo. Quindi devono essere gestite con regole precise e senza “varie ed eventuali”.
in tutte le riunioni il fattore tempo è il vincolo principale.
“La differenza tra un ubriaco e un alcolista è che l’ubriaco non deve partecipare a tutte quelle riunioni.” – Arthur Lewis
In azienda – Le riunioni per decidere
Le riunioni più diffuse nelle aziende sono dei Work in progress (lavori in corso), con una cadenza fissa, di solito settimanale in cui ci si incontra per fare il punto su progetti e si prendono decisioni per i passi successivi. Differiscono dai SAL (stato avanzamento lavori) per il numero di partecipanti e per l’urgenza. Mantenere il focus e procedere non vuol dire che la riunione debba essere svolta se non ci sono sufficienti motivi.
Qui sotto una mappa riassuntiva di una proposta su come organizzare una riunione
Un altro elemento fondamentale è che il consumo di tempo implica che alla riunione ci devono essere solo le persone necessarie e devono essere preparate. Spedire un ordine del giorno aiuta tutti a sapere cosa aspettarsi, a rispondere e ad apprezzare chi convoca la riunione perché sul lavoro essere prevedibili rassicura i colleghi e ti fa percepire come affidabile.
Chi convoca la riunione ha il dovere di moderarla e di assicurarsi di svolgere tutto quello che serve a raggiungere il risultato atteso nel tempo stimato, vedi mappa riassuntiva:
Verbalizzare è necessario per non perdere la memoria di cosa è stato deciso e quando. I tempi certi di una riunione vogliono dire che se deve durare al massimo un’ora dopo un’ora si smette o si fissa un’altra riunione.
Nella mia esperienza di molte riunioni con gruppi di lavoro, i migliori sono gli imprenditori:
sono preparati
puntano all’essenziale
dopo un’ora se ne vanno
Di solito durante la riunione teniamo traccia di dialoghi e decisioni su una mappa mentale che diventa il verbale e viene spedito nell’ora successiva ai partecipanti.
Se partecipiamo ad una riunione convocata da qualcun altro ecco i suggerimenti:
Un allievo di Lecco 100 che aveva avuto un ristorante in società con altre persone, dopo aver partecipato alla lezione era letteralmente affranto, quasi piangeva. non dimenticherò mai cosa disse: “Tu avrai detto 50 cose su come fare una riunione. Noi abbiamo fatto un sacco di riunioni e non abbiamo mai fatto una delle cose che hai detto, neanche una”. Si era reso improvvisamente conto di quanto erano impreparati.
La variabile remota
Negli anni della pandemia ci siamo abituati a fare riunioni di tutti i tipi in remoto, e uno dei maestri della teoria della comunicazione moderna, Giorgio Nardone, ha scritto un libro che richiama ill più famoso “Pragmatica della comunicazione” scritto, fra gli altri, dal suo maestro Paul Watzlawick. Il libro tratta proprio dei limiti e delle opportunità della comunicazione in remoto.
Il prof. Nardone dice che all’inizio era fortemente insicuro nell’uso di strumenti come Zoom, Meet, Teams e si chiedeva come avrebbe potuto svolgere il suo lavoro totalmente basato sulla comunicazione, con il paziente e con gli allievi. Con il passare del tempo si è accorto che riusciva a svolgere lezioni e soprattutto a ottenere risultati anche con le sessioni di terapia online.
Qui una piccola mappa riassuntiva dei concetti che mi hanno colpito durante la lettura:
In azienda – Le riunioni per informare
Stand-up meeting
Nell’ambito tecnico, in particolare per chi scrive software o segue progetti informatici, sono almeno vent’anni che esistono metodi di lavoro pensati per progetti spezzati in piccole parti che durano da una a tre settimane di lavoro e svariati metodi e strumenti che potete trovare su Google cercando “Metodo Agile”. Questo metodo prevede delle riunioni:
giornaliere
in piedi, in cerchio
tutti hanno un minuto per parlare
cosa ho fatto da ieri a oggi, cosa farò da oggi a domani, cosa non riesco a fare
Risultato: tutti sanno tutto e possiamo aiutare chi è in difficoltà
Ogni volta che ne vedo una o ne parlo non posso fare a meno di notare che assomiglia terribilmente a una terapia di gruppo 🙂
Queste riunioni sono strumenti usati insieme alle viste Kanban disponibili nei software per gestire processi. Sono il cuore del modo di lavorare delle piccole e medie aziende software e di molte aziende di produzione che usano i metodi della Lean production. Se volete saperne di più ho scritto un altro articolo sul Kanban, visto che lo insegniamo durante il master Lecco100: Jim Benson, Tonianne DeMariaBerry e il personal kanban
In azienda – Le riunioni per creare
Non molto usate in Italia, ma di grande successo in Asia e in oriente in generale sono le riunioni impostate sul metodo dei “Sei cappelli per pensare” di Edward De Bono. Uno dei più grandi creativi del secolo scorso di cui abbiamo già parlato in un altro articolo: https://www.lecco100.it/index.php/2022/10/13/edward-de-bono-e-il-pensiero-laterale/
La tecnica dei sei cappelli consiste nel permettere ai partecipanti di assumere ruoli diversi, esattamente come a teatro, a seconda del cappello che si mettono in testa. In questo modo è possibile per il moderatore, che indossa il cappello BLU, chiedere ai vari partecipanti di comportarsi e di comunicare come prevede il ruolo del colore del cappello a loro assegnato. Nel mondo orientale così legato a regole gerarchiche è un modo per ottenere il meglio, ovvero far dire ai colleghi cose che non direbbero mai secondo le loro convenzioni sociali. Possiamo farlo anche noi, ad esempio chiedendo a una persona di indole negativa di mettersi il cappello GIALLO e dire due cose da ottimista. Durante la riunione non si esprimono giudizi personali nei confronti di nessuno, si cambia solo cappello.
In aula noi una riunione con i sei cappelli prima o poi a facciamo, non appena abbiamo imparato a conoscere i ragazzi dopo un po’ di lezioni.
Cosa ci riserva il futuro?
A riguardo ho scritto un altro articolo che trovate qui sotto. Ci sono le esperienze scolastiche e professionali pratiche che abbiamo fatto negli ultimi anni e le prime conseguenze emerse per il futuro a breve termine.
I paradossi ci circondano, noi stessi spesso tentiamo soluzioni paradossali, insistendo a fare cose che ci danneggiano e per me è venuto il momento di parlarvene. Se vi sentirete confusi non vi preoccupate, è così che funziona.
Qui daremo riferimenti teorici e casi reali, per i più semplici, quelli proposti dai greci oltre duemila anni fa, come il paradosso del mentitore, potete trovare degli esempi su Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_del_mentitore
Burocrazie quotidiane
Se a qualcuno di voi è capitato di acquistare in Italia un appartamento, di finalizzare una pensione o di usufruire di incentivi di legge, la summa dei problemi burocratici da affrontare è spesso piena di paradossi.
Come dicevo nel caso della burocrazia i paradossi non sono solo giochi di parole, ma hanno tragiche ricadute nella realtà, con danni fisici e psicologici sulle persone che ne sono vittime consapevoli.
Mi ricordi che quando ho fatto il militare, il giorno successivo al mio arrivo nell’amministrazione del Distretto Militare, venne a mancare il tenente colonnello che lo dirigeva. Fra i vari documenti richiesti in quel caso dall’amministrazione ce n’era anche uno che, per ottenere la pensione, doveva essere firmato da lui. Ovviamente i colleghi hanno risolto e la situazione da tragica ha assunto almeno una sfumatura comica.
Un po’ di teoria
Nel master di Lecco 100 incontriamo i paradossi in alcuni momenti, ad esempio quando parliamo di macchine algoritmi e intelligenza artificiale, perché le lingue umane e l’algebra producono i linguaggi di programmazione. I linguaggi di programmazione si portano dietro alcuni limiti, per esempio non si possono scrivere metafore o metonimie e soprattutto è possibile scrivere frasi paradossali. Questo significa che non esiste un linguaggio umano in grado di scrivere qualcosa di sicuramente esatto, o per avvicinarci a Godel potremmo dire coerente e completo.
Ludwig Wittgestein sosteneva che non è possibile descrivere qualcosa in modo atomico, ovvero esattamente, anche se è possibile mostrarlo. Bertrand Russell rispondeva che nonostante i limiti del linguaggio credeva di capire quello che diceva Wittgestein.
Semplicemente siamo destinati a incappare in qualche paradosso, continuamente, e quindi tanto vale saperne qualcosa in più. Le osservazioni di Wittgestein però potrebbero farci sospettare che la verità oggettiva non esiste.
Bertrand Russell a sua volta aveva studiato l’insiemistica proponendola come sistema completo e coerente, finché una mattina si svegliò e formulò una frase che, se la memoria mi assiste, dovrebbe essere: “Se esiste l’insieme degli insiemi che non appartengono a nessun insieme l’insiemistica è incoerente. Se non esiste l’insieme degli insiemi che non appartengono a nessun insieme l’insiemistica è incoerente.”
Prendete fiato cinque minuti con un filmato paradossale e poi torniamo a quello che succede nel mondo reale.
Un altro grande psicologo, Paul Watzlawick metteva l’accento su come le nostre credenze e convinzioni possono generare paradossi, vicoli ciechi che si trasformano in problemi psicologici cronici se ripetuti nel tempo. Ad esempio, raccontava questa storiella:
“Una donna, ricoverata d’urgenza in via provvisoria all’Ospedale Generale di Grosseto in uno stato di schizofrenia acuta, doveva essere trasferita nella clinica psichiatrica della sua città natale, a Napoli. All’arrivo degli infermieri, la paziente era seduta sul letto, completamente vestita, con la borsa già pronta. Alla richiesta di seguire gli infermieri e di entrare nell’ambulanza che la doveva portare a Napoli, la donna dette in escandescenze, diventò belligerante; ebbe quella che si potrebbe definire una crisi di schizofrenia. Dopo un’iniezione calmante, l’ambulanza partì per Napoli, ma all’altezza di Roma, venne fermata e rimandata d’urgenza a Grosseto. C’era stato un errore: la signora era solo la parente di un uomo che era stato operato all’ospedale e che era stata scambiata per la paziente schizofrenica.”
Secondo le convinzioni di tutti quelli che aveva intorno ogni pretesa della donna di non essere pazza era una ulteriore conferma del fatto che lo era, dopo tutto era in un ospedale seduta su un letto.
«Solo gli imbecilli non hanno dubbi» «Ne sei sicuro?» «Non ho alcun dubbio!» – Luciano De Crescenzo – Il dubbio
Torniamo ai tempi nostri. Tenete conto che approfitto dell’esperienza personale per descrivere il tema dei paradossi con esempi comprensibili.
I piccoli comuni non hanno il budget per avere personale tecnico a tempo pieno, quindi risolvono con contratti part-time. Il risultato è che per una pratica edilizia c’è un tecnico part-time due mezze giornate la settimana. Così si producono effetti devastanti:
il lavoro di una settimana durerà un mese
rallenta il naturale rinnovo della popolazione del paese
Si sfavorisce la ristrutturazione dei vecchi immobili rendendo il centro paese un posto dove cambiano solo gli annunci mortuari
e soprattutto le normative edilizie sono le stesse che tu sia un grande o un piccolo comune.
Abbiamo quindi creando un sistema inefficiente e carico di frustrazioni in base alle credenze di tutte le parti che vi concorrono. Chi gestisce il comune, i tecnici che intermediano con la legge, i proprietari che modificano l’immobile e i successivi proprietari che ne attendono la consegna.
[Paradosso 0:]
Noi di Lecco 100 citiamo sempre il fatto che le regole servono a potersi immaginare un futuro possibile, ma pensare di risolvere i problemi aumentando le regole di solito produce nuovi problemi.
Una soluzione reale
Avendo gestito aziende di informatica mi è capitato di gestire i servizi informatici di diversi comuni. Semplicemente si stimava il budget delle ore necessarie e le si utilizzavano solo su richiesta, senza cadenze fisse. Insomma, a parità di risorse si rendeva flessibile la gestione del tempo.
L’altra soluzione che l’esperienza in paesi più organizzati dell’Italia mi ha insegnato è semplicemente insistere. Possibilmente in più persone organizzate in tempi diversi.
L’accesso all’energia e i suoi paradossi
Quando parliamo di energia parliamo di Elettricità, Gas, Acqua. Le modalità di installazione e di rilascio sono diverse:
Elettricità: rilasci delle dichiarazioni e la ottieni velocemente, anche in caso di installazione del contatore
Gas: devi rilasciare una serie di dichiarazioni tecniche certificate e per ogni passaggio, contratto, allacciamento e fornitura i tempi vanno dai 15 ai 30 giorni.
Acqua: te la danno solo se hai la proprietà del bene o un contratto di comodato/affitto.
[Paradosso 1:]
Questo vuol dire che se stai ristrutturando solo un monolocale puoi avere l’elettricità, per il gas devi aspettare le certificazioni degli idraulici e per avere l’acqua devi fare il rogito. Puoi caricare il cellulare ma non puoi pulire il pavimento. Scordati di installare una cucina. Quindi l’acqua, la fonte indispensabile della vita e di pulizia è di fatto la più inaccessibile. In compenso puoi guardare Netflix.
La comunicazione che genera paradossi
Una comunicazione classica con un fornitore di energia, ad esempio il Gas, inizia con il contratto e poi prosegue con la richiesta di certificazione dell’impianto da parte di un tecnico, dei dati catastali e una documentazione di riepilogo.
La probabilità che ci sia qualcosa che non va o un dato mancante è quasi una certezza; quindi, il fornitore analizza e risponde chiedendo documenti aggiornati. Tu li invii e chiedi le date per le installazioni e l’avvio della fornitura.
A questo punto cominciano i paradossi, ovviamente ne parlo perché li ho vissuti sulla mia pelle.
Daniel Pennac, meraviglioso scrittore e insegnante di liceo classico in Francia, diceva che quando fai una domanda a un allievo ti può dare tre possibili risposte:
quella giusta
quella sbagliata
quella assurda
Quella assurda è facile. Dopo una settimana dall’invio telefoni e ti dicono di mandargli i documenti cartacei perché quelli digitali non li riescono a scaricare.
[Paradosso 2:]
Ma ovviamente Pennac non ha tenuto conto della fantasia italiana che rende possibile la quarta: non rispondere.
Non risponde anche ai solleciti, ma grazie alla tecnologia moderna il fornitore ha un fantastico call center con numero verde che ti potrà aiutare.
Il call center
“Traduzione: Un buon servizio clienti è raro. Quando qualcosa è raro, ha valore. Quando qualcosa ha valore, è costoso. Un cattivo servizio clienti è il nostro modo di far risparmiare i nostri clienti.”
“Buongiorno, la telefonata verrà registrata, se vuole assistenza su …”
Dopo un percorso che sembra una avventura radiofonica dove fai le scelte con una tastiera e ogni tanto ti propone dei tempi di attesa o “se preferisce la richiamiamo”, ad un certo punto senti:
“L’operatore le risponderà a breve dalla Romania”
Mi sono sempre chiesto perché mi devono dire da dove risponde l’operatore, cosa cambia in me sapere che risponde dalla Romania o dall’India? A me basta che risponda!
Devo dire che dopo un po’ di anni con Amazon e il suo ineccepibile call center che mi ha sempre risolto qualsiasi problema, l’azienda ha dimostrato a tutti gli altri che qualcosa si può migliorare. Siamo ancora molto lontani dal concetto di Customer care perché probabilmente gli italiani non sanno che esiste.
I tre operatori dell’azienda del gas con cui ho avuto a che fare sono stati gentilissimi, hanno ripercorso tutta la storia, hanno confermato che ho risposto ad ogni richiesta correttamente e alla fine si sono schiantati contro il muro di silenzio dell’installatore, che loro evidentemente pagano per fare il suo lavoro, ma non per rispondere al cliente né tantomeno a loro.
[Paradosso 3:]
Quindi possiamo dire che l’azienda paga un call center inutilmente per tamponare la mancanza di comunicazione con altra comunicazione inutile e di fatto produce l’incapacità di rispondere ai clienti che gli danno da mangiare:
il call-center non può risolvere il problema
se la comunicazione/organizzazione funzionasse il call-center non esisterebbe
quelli che lavorano al call-center è meglio che non si facciano domande sulla loro utilità professionale
qualsiasi cosa farai come cliente non avrà nessun effetto, escluso il cambiare operatore ricominciando da capo e facendoti del male.
Una soluzione reale
Più di un allievo di Lecco 100 negli anni è entrato a far parte di aziende che ristrutturano processi aziendali. Uno di questi mi ha raccontato che uno dei più grossi call center di una grande azienda software italiana è stato oggetto dei loro studi di riorganizzazione con il risultato che avrebbero potuto ridurre del 75% i costi legati alla gestione delle attività del call center. Il cliente che aveva come obiettivo il 15% si è accontentato del 25%.
Dopo l’azienda del gas capisco che non è così difficile migliorare qualcosa.
Quando il paradosso diventa pericoloso
Il paradosso diventa pericoloso quando non hai alcuna scelta possibile che possa rispondere validamente al problema. In sintesi, non puoi vincere, non puoi smettere di giocare e non puoi pareggiare.
Questa cosa in psicologia si chiama doppio legame ed è stato ipotizzato da Gregory Bateson antropologo e psicologo osservando il comportamento di pazienti schizofrenici, vedi Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Doppio_legame_(psicologia)
Le madri sono dei talenti naturali nella creazione di doppi legami in totale buona fede, ecco un esempio: Tu hai 16 anni e la mamma per il tuo compleanno ti compra due paia di jeans. Vai nella tua stanza, ne indossi uno ed esci per farti vedere. La mamma ti guarda e dice “Ma allora quell’altro non ti piace”. Game over.
Se vieni costantemente messo in una situazione di stallo perché le parole dicono una cosa e le emozioni un’altra e la tua mente non accetta l’incompletezza, sei destinato ad una nevrosi acuta.
Ed è esattamente quello che succede quando qualcuno non risponde ad una richiesta per la quale dipendi da lui, in una situazione dove hai vincoli e scadenze interdipendenti fra loro.
Una soluzione reale
Finché i paradossi restano linguistici sono risolvibili. Per esempio, si potrebbe rispondere alla mamma che non puoi mettere due pantaloni alla volta. Oppure che hai indossato l’altro paio sotto. Oppure “si mi piace questo, l’altro riportalo al negozio!”
Paul Watzlawick e Giorgio Nardone hanno fondato la scuola di Psicoterapia breve strategica che con innumerevoli successi ha dimostrato praticamente che la ristrutturazione del pensiero del paziente è una strategia che funziona.
In conclusione
non possiamo essere certi di dire qualcosa esattamente, quindi non possiamo parlare di verità assoluta
le nostre decisioni contengono sempre potenzialmente dei paradossi
per onestà devo dire le cose cambiano costantemente e c’è sempre la possibilità che qualcuno menta volontariamente
Se vi sentite confusi, non trovate un inizio e una fine, è esattamente lo stato mentale che i paradossi producono.
Spero che possiate cominciare ad accorgervi dei paradossi che vivete e che vi circondano, e che possiate divertirvi a generarne di nuovi, perché, nonostante tutto, la specie umana è stata in grado di navigare prima di sapere cosa fosse un’onda e la nostra mente è in grado di convivere con contraddizioni, di cambiare, di adattarsi e migliorare.
Se stanotte farete strani sogni non preoccupatevi.
Ho fatto un patto sai con le mie emozioni…le lascio vivere e loro non mi fanno fuori! (Vasco Rossi)
DAVOS/SWITZERLAND, 27JAN11 – Daniel Goleman, Co-Director, Consortium for Research on Emotional Intelligence in Organizations, Rutgers University, USA, speaks during the session ‘The New Reality of Consumer Power’ at the Annual Meeting 2011 of the World Economic Forum in Davos, Switzerland, January 27, 2011.
Copyright by World Economic Forum
swiss-image.ch/Photo by Michael Wuertenberg
Correva l’anno 1995 e Daniel Goleman pubblicava il suo libro “Intelligenza emotiva” ed il suo approccio ha avuto un successo enorme. Mi ricordo che lo lessi nel 1997 in italiano e ne rimasi colpito, lui scrive bene ed è chiaro e ci sono molti esempi. Era già qualche anno che gli psicologi trattavano il tema delle emozione con un interesse accademico e clinico e con una prospettiva nuova, Daniel Goleman ha trovato le parole giuste.
Come sempre che conta è trovare la domanda corretta: Pesano di più le conoscenze e il sapere o la gestione e il controllo delle emozioni per avere una vita di successo? Negli anni ‘90 si diceva: Vale di più avere un Q.I. (quoziente intellettivo) alto o un Q.E. (quoziente emotivo) alto?
Sembra che prevalga la capacità di riconoscere e controllare le nostre emozioni, saperle esprimere e comunicare, e quindi avere un buon comportamento. Il Q.E. favorisce la crescita personale e il successo sociale. E visto che, come dicono i maestri, la comunicazione e il comportamento sono due facce della stessa medaglia, un buon comportamento favorisce una buona comunicazione.
Teniamo conto del periodo in cui questo concetti sono stati espressi e del fatto che sono una emanazione della cultura americana, funzionale anche alla visione occidentale in generale.
Ci sono paesi con culture diverse dalla nostra, come molti stati islamici o orientali, dove l’autoritarismo è considerato indispensabile nel comportamento di chi comanda.
Da noi per esempio l’essere autorevoli, cioè essere competenti e con esperienza dimostrata in un argomento, può essere un buon criterio di scelta per un insegnante. Ma l’intelligenza emotiva sta li a dirci che ci sono motivi di successo nella comunicazione dei grandi carismatici che riguardano la loro capacità di rappresentare le emozioni più che le storie in sé.
Questa qui sotto è la mappa della prima formulazione delle dimensioni dell’intelligenza emotiva:
Daniel Goleman sostiene che ci sono delle competenze personali e delle competenze sociali.
L’aspetto ancora più interessante è che Daniel Goleman si concentra su quello che dipende da noi, sull’output delle nostre azioni, conseguenza di come riconosciamo e controlliamo le nostre emozioni. Pensate a quante volte vi siete pentiti per non aver taciuto.
Si aprono scenari interessanti, ad esempio una persona con una grande fiducia in se stessa potrebbe avere un basso autocontrollo, quindi una minima analisi di noi stessi può darci delle indicazioni su cosa migliorare.
Ci sono ovviamente punti di vista diversi su cosa sia il carisma, e in programmazione neuro linguistica nei libri di Robert Dilts, qualche anno prima di Goleman, lo studio dei comportamenti dei grandi carismatici ha portato a trovare degli elementi linguistici comuni e trasversali, Da Gesù Cristo ad Adolf Hitler, identificando modelli di comunicazione.
È doveroso notare, come diceva Karl Popper, che la psicologia non è una scienza. e molte cose sono cambiate.
Ad esempio, se consideriamo la parte di input, cioè le emozioni che proviamo quando gli altri comunicano con noi, scopriamo che quando impariamo qualcosa memorizziamo le nozioni e insieme le emozioni che stavamo provando in quel momento, perché pare che la memoria nasca proprio dalla reazione emotiva, che il nostro cervello rettile produce. Poi si consolida nel tempo nella neocorteccia. E quindi se ci annoiavamo mentre leggevamo Manzoni a scuola anche oggi sbadigliamo alla vista dei promessi sposi. Però se riusciamo a cambiare le nostre emozioni controllandoci potremmo riuscire a imparare quel maledetto inglese che è tutta la vita che ci perseguita.
Un’altra scoperta relativa alle emozioni, di un secolo prima, è che quando una comunicazione fortemente emotiva viene interrotta bruscamente (es: la rottura di una relazione) si genera un effetto di vuoto che ci spinge a cercarne i motivi, magari inesistenti. Questo lo dobbiamo a Bluma Zeigarnik. Ecco svelato il motivo perché le serie tv si interrompono sempre in un momento emotivo. Il seguito alla prossima puntata.
Il punto di vista precedente che aveva avuto più successo relativamente alle emozioni è stato quello derivato da quarant’anni di studi di Paul Ekmann che, a partire da ricerche antropologiche ha avuto modo di notare che ci sono emozioni di base che sono comuni a tutti gli uomini, a prescindere dalla cultura di origine. A scatenare il putiferio è stata la sua constatazione che le emozioni di base si esprimono attraverso microespressioni facciali riconoscibili.
Tutto questo prima che venissero scoperti i neuroni specchio a metà degli anni ‘90. I neuroni specchio sono quelli che di fatto ci danno la capacità di imitare (imitazione=apprendimento) e di provocare empatia, di accendere le stesse parti del cervello della persona che stiamo guardando o ascoltando.
Negli ultimi anni sono emersi gli studi di Lisa Feldmann Barrett sulla natura delle emozioni e spesso, secondo lei, si dimostrano incontrollabili perché sono reazioni che abbiamo appreso, a cui siamo stati educati, per saper scegliere come reagire in ogni situazione. Insomma, per la maggior parte sono anch’esse un prodotto culturale specifico del contesto in cui cresciamo, soprattutto se vissute in un gruppo. Paul Ekman potrebbe sembrare in contrapposizione con questa tesi, in realtà i suoi studi sono piuttosto profondi e distinguono le reazioni emotive del singolo. Nel 1987 condusse un esperimento per stabilire quanto influisse il contesto sociale, testando un gruppo di americani e uno di giapponesi, rilevando come i giapponesi apparissero meno espressivi solo in compagnia, mentre da soli esprimevano le stesse emozioni primarie.
Vista la varietà delle ipotesi e la vivacità del dibattito vi invitiamo a guardare qualche filmato su YouTube o TED Talk, perché a parte Karl Popper, gli altri autori sono tutti vivi mentre sto scrivendo e quasi tutti continuano a pubblicare.
“Il diavolo è nei dettagli.” – Motto della Toyota Motor Company
Un argomento su cui riflettere.
La teoria dell’informazione propone un modello per spiegare come si formano i significati e il sapere. Va oltre la linguistica e tocca elementi di dialogica e comunicazione, nonché almeno due diversi metodi di analisi computazionale. C’è molto da riflettere e per quanto ci riguarda ci limiteremo a valutare alcuni aspetti pratici che ci possano portare qualche vantaggio professionale.
Una delle domande che mi appassiona è: qual è il metodo più efficiente per prendere appunti, per tracciare l’informazione e per mantenere il significato?
Negli anni ‘80 quando era di moda la lettura rapida Woody Allen raccontava una storiella: “Ho fatto la lettura rapida di Guerra e Pace. Mi ricordo che parlava della Russia.”
Questo per dire che il rapporto fra velocità e ritenzione dell’informazione è inversamente proporzionale, più vai veloce e meno memorizzi.
Se vai molto lento memorizzerai di più, ma la profondità è nemica dell’efficienza. Ciò significa che, ad esempio, posso raccontare una storiella usando:
la scrittura
una mappa concettuale
una mappa mentale
L’attenzione nello specifico esempio si concentra sulla relazione tra la quantità di informazioni e il dispendio di tempo.
Tutti i numeri relativi al rapporto tempo/completezza sono solo stime approssimative.
La storia scritta
“Giorgio è un contabile, bruno e con gli occhi azzurri.
Ama Cristina, un’interprete bionda con gli occhi verdi che lavora con lui.
Giorgio possiede dal 2018 un’auto che Cristina guida con patente B. L’auto è un SUV BMW verde”.
Tempo di creazione: 5 minuti
Quantità di informazioni: 50% parole e 50% immaginazione.
Pro: scrivere è un’abitudine e rispondere in tempo reale al nostro pensiero.
Contro: non possiamo rappresentare le immagini che sono la maggior parte della nostra capacità di percepire e spiegare.
La mappa concettuale
Tempo di creazione: 20 minuti
Quantità di informazioni: 80% parole + immagini + relazioni e 20% immaginazione.
Pro: non abbiamo un centro, possiamo iniziare a leggere ovunque, e le immagini supportano la percezione e le relazioni sono dettagliate.
Contro: richiede molto tempo.
La mappa mentale
Tempo di creazione: 5 minuti
Quantità di informazioni: 70% parole + immagini + relazioni e 30% immaginazione.
Pro: scrittura veloce, lettura veloce e immagini che supportano la percezione.
Contro: abbiamo bisogno di un centro per iniziare la storia e alcuni dettagli delle relazioni potrebbero essere nascosti.
Dal punto di vista dell’efficienza, il vincitore è la mappa mentale.
Dal punto di vista della completezza, il vincitore è la mappa concettuale.
Questo è uno dei motivi per il quale insegniamo per prima cosa a fare le mappe mentali, vedi articolo:
Ciò non toglie che anche la scrittura, grazie a metodi relativamente recenti e soprattutto a nuovi strumenti informatici, può essere gestita in modo più efficiente, e per questo insegniamo la teoria del Second Brain e i Personal Knowledge Management, vedi articolo:
“La verità vi renderà liberi, ma prima vi renderà infelici.” (Richard Rohe)
Negli articoli precedenti di questo blog abbiamo mostrato metodi e strumenti professionali utili per lavorare meglio e vivere meglio. L’età matura ci ha donato l’esperienza e la riflessione sull’esperienza ci ha portato a selezionare quanto di buono abbiamo potuto provare e sperimentare di persona. Per noi e in particolare per i nostri giovani, per crescere.
Perché combattiamo?
“Chiedersi perché combattiamo è come chiedersi perché le foglie cadono. È nella loro natura” (World of Warcraft -Pandaria Trailer)
La realtà è sempre stata difficile, e possiamo vederlo dalla nostra storia, dal neolitico ad oggi. Per quello che ne sappiamo, nel neolitico abbiamo creato i primi strumenti per riscattarci dallo stato di soggezione ai vincoli della natura animale e nel presente siamo talmente pervasivi nella realtà del pianeta da rischiare di distruggerlo.
Per dare una misura dal Paleolitico al Neolitico sono trascorsi circa due milioni e mezzo di anni. Dal Neolitico ad oggi circa 12.000.
Per dare qualche riferimento sui grandi pensatori che hanno analizzato la condizione umana possiamo citare il Budda, che lo ha fatto nel modo più diretto con le Quattro nobili verità:
C’è la sofferenza.
Esiste un’origine della sofferenza.
Esiste la cessazione della sofferenza.
Esiste un sentiero che porta alla cessazione della sofferenza.
Per tornare nella cultura occidentale, in particolare nella cultura del Cristianesimo dalla quale siamo influenzati se siamo cresciuti in Italia, praticanti o no, e nella quale esiste una forma di ottimismo finale. La speranza di riscattarci da una vita piena di scelte sbagliate, di errori, di sofferenze e di avere una seconda possibilità, come nel caso della donna malata che ha toccato la veste di Cristo citata nei vangeli: https://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=Mt9,20-22;Mc5,25-34;Lc8,43-48&formato_rif=vp.
La maggioranza dei genitori non ha gli strumenti per orientare i figli in una realtà complessa, anzi la maggior parte di noi inizia a conoscersi e a capire cosa ci piace intorno ai quaranta anni, secondo un’affermazione di Abraham Maslow lo psicologo umanista che ha studiato la gerarchia dei nostri bisogni rappresentata in una piramide.
La nostra responsabilità
Consapevoli del nostro ruolo educativo a Lecco 100 negli anni abbiamo sviluppato un percorso per aiutare i ragazzi, in particolare una sessione di mezza giornata, dove tutti quanti vengono messi in gioco con domande, risposte ed esercizi per aprire uno spazio alla consapevolezza di sé ed alle opportunità potenziali.
I passi sono:
Esprimere desideri, a partire da un’ispirazione proposta da Alan Watts.
Incontrare la filosofia giapponese dell’Ikigai per scoprire di avere dei motivi per vivere equilibratamente.
Trasformare i desideri in obiettivi per poterli gestire e misurare consapevolmente.
Incontrare il modo di pensare KaiZen per gestire anche i grandi obiettivi. vedi articolo: Kaizen per migliorare
Cominciamo a parlare di Ikigai ricordando a tutti che l’equilibrio è un concetto dinamico, esiste solo in movimento, come quando attraversiamo un ruscello saltando di pietra in pietra. La felicità, che è un altro modo di finalizzare l’Ikigai, come abbiamo descritto nell’articolo dedicato a Mihaly Csikszentmihalyi, è uno stato che si raggiunge attraverso una serie di azioni, in movimento, vedi: Mihaly Csikszentmihalyi e la ricerca della felicità
Il termine Ikigai può essere tradotto in modi diversi, ragion d’essere, ragione di vita, un motivo per alzarsi la mattina.
Si concretizza quotidianamente in azioni finalizzate all’obiettivo di realizzare il proprio potenziale, che sia umano o professionale in un percorso pensato per cercare di avere una vita equilibrata.
I Cinque Pilastri
Iniziare in piccolo
Dimenticarsi di sé
Armonia e sostenibilità
Gioia per le piccole cose
Essere nel qui ed ora
Questi titoli un po’ generici e sibillini nascondono una ricerca plurimillenaria che ci dice che per ogni cosa che intraprendiamo c’è sempre un inizio, dobbiamo in qualche modo darci fiducia, non essere per forza la versione che sentiamo di dover rappresentare di noi stessi, ma quella che potremmo essere praticando con gioia qualcosa che ci piace e poi ricordarci di essere presenti, qui ed ora.
Il diagramma di Venn qui sotto descrive da solo come funziona l’Ikigai.
Guardare il mondo, da studente, da lavoratore o da pensionato con le lenti dell’Ikigai, ci fa pensare al futuro come un posto dove potremo partecipare.
Noi di Lecco 100 ci limitiamo ad una introduzione per far scegliere ai ragazzi, nella lista dei loro desideri, quali rispondono alle domande dell’Ikigai.
La tesi dell’Ikigai è la seguente:
Se scopri qualcosa che ami fare continuerai a farlo fino a diventare bravo, e se questa cosa è utile al mondo e potrebbe essere qualcosa per cui essere pagato, raggiungerai un equilibrio.
Perché:
se fai quello che ami e lo sai fare bene hai trovato la tua passione, quindi la prima domanda è: Cosa mi piace?
se quello che ami fare è utile al mondo hai trovato la tua missione, quindi la seconda domanda è: Cosa sai fare?
se diventi così bravo nel fare qualcosa hai trovato la tua professione, quindi la terza domanda è: Di cosa ha bisogno il mondo?
e se il mondo ti ripaga per fare qualcosa di utile hai trovato la tua vocazione, quindi la quarta domanda è: Per cosa potrei essere pagato?
Avere le domande giuste rende più facile trovare le risposte. Pochi di noi trovano la loro passione da giovani, ed in ogni caso è sempre una scoperta.
Questo è tipico delle età dai 15 ai 20 anni, in cui facciamo delle scelte per prepararci a fare e lavorare nel mondo, terminando (forse) entro i 30 anni la ricerca di un’identità e di uno stile di vita soddisfacente.
Ad esempio, poniamo che vogliamo metterci a frequentare un corso per imparare a programmare. Potremmo chiederci se è qualcosa che risponde a tutte e quattro le istanze dell’Ikigai prima di farlo. Mi piace? Potrei amarlo? Potrei diventare bravo? Potrebbe essere un lavoro? Questo porta ad altre domande, ad esempio, se non lo so fare lo posso imparare?
Anche nel caso fosse un corso di lingua che ci serve per un lavoro già in atto possiamo farci le stesse domande.
Questo è il modo che abbiamo per costruire un obiettivo professionale che ci permetta di attraversare la vita adulta e di arrivare a una vecchiaia sostenibile.
L’ikigai è anche un modo per ritornare a noi stessi quando ci perdiamo, quando abbiamo momenti duri e dobbiamo trovare la forza di rialzarci e ritrovare una strada. Capita nella vita di perdere il lavoro, di lasciarlo volontariamente e di cambiarlo. Diversi allievi di Lecco 100 si sono presi un anno sabbatico o hanno cambiato radicalmente lavoro e sono venuti in aula a raccontarcelo.
Attenzione alle interpretazioni
Per prima cosa potremmo notare che se la finalizzazione dell’Ikigai fosse solo il lavoro, come capita in molte culture occidentali, nel momento in cui cesserai di lavorare perderai il tuo equilibrio.
Il significato che noi occidentali possiamo dare a queste parole differisce ovviamente dal senso profondo per l’appartenenza a un popolo tipica dei giapponesi e di altre culture orientali dove fare e lavorare sono soprattutto un termine di partecipazione alla società.
Secondo il professor Akihiro Hasegawa, IkiGai contiene la parola gai che deriva da Kai (conchiglia) che nel periodo Heian (794-1185) era considerata preziosa. Kai fa parte anche di altre parole come yarigai e hatarakigai che possono essere tradotte come il valore nel fare e nel lavorare. (vedi: https://it.insideover.com/politica/ikigai-vita-giappone.html)
Questo per dire che l’Ikigai è frutto di una cultura plurimillenaria molto diversa dalla nostra. L’Ikigai è inteso come uno strumento per vivere bene quotidianamente, concretamente e in ogni stagione della vita.
I giapponesi intendono quindi l’essere pagati, non necessariamente un ambito economico, ma una ricompensa sociale, vuoi perché mantenendo azioni equilibrate, ad esempio, nel movimento fisico e nella dieta, vivono più a lungo. Così nell’esercizio dell’arte e nel giardinaggio così diffuso in Giappone godono della bellezza e dei frutti. Nel crescere i figli educandoli alla saggezza si sentono ricompensati dall’esperienza.
Anche in Italia fare i nonni crescendo i nipoti è diventato un mestiere, forse il mestiere più bello e più difficile del mondo e non sempre lo apprezziamo così profondamente.
Cit. da Wikipedia: “Kaizen (改善) è la composizione di due termini giapponesi, KAI (cambiamento, miglioramento) e ZEN (buono, migliore), e significa cambiare in meglio, miglioramento continuo”
Per chi di voi avesse già letto gli articoli degli ultimi due mesi, questo sul KaiZen era prevedibile, visto le volte in cui l’ho già citato.
Il Kaizen è diventato famoso in tutto il mondo con la qualità totale di Toyota, ed è il collante, un modo di pensare alla qualità, sia nell’ambito professionale che nell’ambito personale.
Dopo la Seconda guerra mondiale gli americani sono rimasti in Giappone e hanno creato dei laboratori per testare le teorie sulla qualità nel lavoro e nella produzione. Il Giappone in quel momento aveva perso la guerra ed era un paese arretrato dal punto di vista tecnologico e da ricostruire dal punto di vista industriale.
L’idea di fondo del KaiZen è che possiamo sempre migliorare, e possiamo farlo meglio se applichiamo con costanza piccoli cambiamenti continui, non imposti dall’alto, ma suggeriti dal basso, da chi effettivamente lavora. Inoltre, il modo di pensare del KaiZen è applicabile semplicemente a quasi tutte le attività umane.
Certo non abbiamo un tempo infinito, però possiamo mangiare anche un elefante, un pezzo alla volta.
Ad esempio, quando mi hanno regalato un libro di Kahneman, dopo cento pagine mi sono bloccato per un anno. Libro splendido. dove ogni concetto viene espresso con esempi pratici ma…nella versione italiana sono oltre 600 pagine di contenuto più le note.
Ispirandomi al Kaizen ho inserito un’abitudine positiva giornaliera: leggi dieci pagine al giorno di saggistica. Facendo due conti sono 3.650 pagine all’anno. Posso concedermi di leggerne cinque al giorno in una lingua straniera.
La teoria delle finestre rotte
Per tornare a una dimensione internazionale potremmo dire che il Kaizen ha il suo contrario, rappresentato dalla Teoria delle finestre rotte e che il KaiZen ne rappresenta la cura.
Citazione da Wikipedia: “La teoria delle finestre rotte è una teoria criminologica sulla capacità del disordine urbano e del vandalismo di generare criminalità aggiuntiva e comportamenti antisociali. La teoria afferma che mantenere e controllare ambienti urbani reprimendo i piccoli reati, gli atti vandalici, la deturpazione dei luoghi, il bere in pubblico, la sosta selvaggia o l’evasione nel pagamento di parcheggi, mezzi pubblici o pedaggi, contribuisce a creare un clima di ordine e legalità e riduce il rischio di crimini più gravi.”
Insomma, con piccoli interventi continuativi si evitano degenerazioni progressive del contesto sociale.
Obbligo o verità?
Come nel tipico gioco da adolescenti il KaiZen a livello personale può essere percepito come una forma di disciplina, come un gioco o come una sfida.
Mio figlio, ad esempio, percepisce come frustrante il doversi misurare ogni giorno con degli obiettivi autoimposti. Viceversa io lo trovo stimolante, come molte altre persone che ho visto addirittura raccontare i loro diari delle abitudini online, per esempio con questa ricerca.
Buone abitudini
Anch’io sulla scia del KaiZen mi sono lasciato ispirare e da molti mesi ho creato una tabella in Notion, avrei potuto usare Excel, per tracciare le mie abitudini.
Il mio obiettivo è di monitorare la pratica di buone abitudini e l’evitarne altre per me dannose, raggiungere ogni giorno un punteggio minimo di 3.
In pratica io uso questa tabella:
Una riga dettagliata:
Io uso le colonne Studio, Camminata, Meditazione, Lettura, Volontariato e VR per inserire un punto quando pratico queste buone abitudini, Uso la colonna Kaizen quando faccio qualcosa di nuovo, di cui non ho esperienza e imparo qualcosa. Le colonne NO alcol e NO fumo danno punteggi positivi se le evitassi, potrei anche scrivere -1 se le pratico e diminuire il totale della colonna TOTRIGA.
Fra le buone abitudini ogni giorno mi chiedo se c’è qualcosa di cui posso essere grato, o un momento magico e lo scrivo.
È solo un gioco?
No, è una cosa seria, serissima. mantenere accesa l’attenzione sui propri comportamenti ha delle ricadute pratiche continue, permette di:
praticare buone abitudini
identificare e affrontare abitudini negative
abituarci ad agire sulle cose che possiamo controllare
mantenere la nostra attenzione su pensieri positivi
affrontare meglio momenti difficili
riconoscere i momenti in cui impariamo
misurare nel tempo i nostri risultati
ringraziare per tutte le cose belle grandi e piccole che possiamo cogliere
Nel libro ci sono svariati esempi delle applicazioni personali del KaiZen, che vengono suggeriti in un percorso progressivo:
riconoscere che c’è un problema
accettare il fatto che potrai cambiare qualcosa
definire in cosa posso migliorare
immaginare gli effetti e breve e a lungo termine
Sfidarti, resistere, ricompensarti e ricordare
Non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio. Ma puoi cominciare da dove sei e cambiare la fine. (C.S. Lewis)
il patrimonio imprenditoriale per fare impresa in un mercato che seleziona
Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni
Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.